Antonella Anedda

Antonella Aneda, nasceu em 1955, em Roma. Licenciou-se em  História da Arte Moderna. Publicou poesia, ensaios e traduções. Obra poética: Residenze invernali (1992); Notti di pace occidentale(1999), prémio Eugénio Montale em 2000 e Il catalogo della gioia (2003).

Outras publicações: Cosa sono gli anni(1997), uma colecção de contos e ensaios;  Nomi distanti (1998), colectânea de poemas traduzidos de Zbigniew Herbert, Osip Mandelstam, Ezra Pound, Fyodor Tyutshev e Marina Tsvetayeva.

 A sua poesia é marcada por temas profundamente humanos como o sofrimento, o sentido trágico, a guerra, o destino do mundo contemporâneo. Antonella Anedda usa com primor a linguagem poética numa tentativa de protecção contra a dor, contra a violência, contra o abandono e contra o silêncio insidioso que ameaça o mundo e a nossa realidade precária.

"This is my understanding of writing: to write in order to disappear, so that life is revealed to me, without me, my face at last more blurred than the whiteness of the paper, bereft of reflection. A world where one can forget oneself. Not a mirror, but a stone.

I dream of a language that is capable of expressing the self without the intrusiveness of the self (…) A self capable of a glance, capable of listening but with its own glance and ear and its own imperious voice set aside, abandoned."

 A. Anedda

Ler mais: wiki / poetryinternational / italian-poetry.org 

 

Foto: Dino Ignani

Poemas

II

Non volevo nomi per morti sconosciuti
eppure volevo che esistessero
volevo che una lingua anonima
– la mia –
parlasse di molte morti anonime.
Ciò che chiamiamo pace
ha solo il breve sollievo della tregua.
Se nome è anche raggiungere se stessi
nessuno di questi morti ha raggiunto il suo destino.

Non ci sono che luoghi, quelli di un’isola
da cui scrutare il Continente
l'oriente – le sue guerre
la polvere che gettano a confondere
il verdetto: noi non siamo salvi
noi non salviamo
se non con un coraggio obliquo
con un gesto
di minima luce.

1998

Ora è solo pioggia che benedice la strada
e nell'acqua che trema quasi una luce redenta da seguire.
Sarà una piccola distanza dal fulgore.
Dal forno dove il cibo si innalza
alle nuvole brune
tutto appena diverso dalla vita di sempre:
uno scarto nel gesto che depone i piatti per la sera
una luce nella crepa del muro
schiusa verso terre di pace.
Fuoco di cedro lungo i bordi del campo.
Così vedremo i volti degli assenti
le iniziali dei nomi travolte dai lapilli
nessun dolore ma il moto delle mani
che allontanano il fumo
e notte tra la notte: una fessura.

***

Notti di pace occidentale 
Per trovare la ragione di un verbo
perché ancora davvero non é tempo
e non sappiamo se accorrere o fuggire.
Fai sera come fosse dicembre
sulle casse innalzate sul cuneo del trasloco
dai forma al buio
mentre il cibo s’infiamma alla parete.
Queste sono le notti di pace occidentale
nei loro raggi vola l'angustia delle biografie
gli acini scuri dei ritratti, i cartigli dei nomi.
Ci difende di lato un'altra quiete
come un peso marino nella iuta
piegato a lungo, con disperazione

VI

Non esiste innocenza in questa lingua
ascolta come si spezzano i discorsi
come anche qui sia guerra
diversa guerra
ma guerra – in un tempo assetato.

Per questo scrivo con riluttanza
con pochi sterpi di frase
stretti a una lingua usuale
quella di cui dispongo per chiamare
laggiù perfino il buio
che scuote le campane.

***

C’è una finestra nella notte
con due sagome scure addormentate
brune come gli uccelli
il cui corpo indietreggia contro il cielo.

Scrivo con pazienza
all’eternità non credo
la lentezza mi viene dal silenzio
e da una libertà – invisibile –
che il Continente non conosce
l’isola di un pensiero che mi spinge
a restringere il tempo
a dargli spazio
inventando per quella lingua il suo deserto.

La parola si spacca come legno
come un legno crepita di lato
per metà fuoco
per metà abbandono

II

Não procuro nomes para mortos desconhecidos
no entanto queria que eles existissem.
Queria que uma língua anónima
- a minha –
falasse de muitos mortos incógnitos.
Aquilo a que chamamos paz
significa apenas o breve alívio da trégua.
Se o nome ajuda a definir a identidade
nenhum destes mortos atingiu o seu destino.

Nada mais há senão lugares, isolados numa ilha
de onde observamos o Continente
o Oriente – as suas guerras
o pó que projectam para confundir
o veredicto: não somos salvos
nem salvamos
a não ser com uma coragem oblíqua
com um gesto
de ínfima luz 

versão : at  (baseada no original e na versão em inglês de Jamie McKendrick

1998

Agora só resta a chuva que abençoa o caminho
e na água agitada uma luz redentora quase nos guia.
Será curta a distância até ao fulgor.
Do forno onde se prepara a comida elevam-se
densas nuvens,
tudo pouco diferente da vida de sempre:
uma diferença no gesto de pôr a mesa para a ceia
uma luz na fenda da parede
entreaberta para terras de paz.
Fogo de cidra a contornar os campos.
Assim veremos os rostos dos ausentes
as iniciais dos nomes arrasados pelos lapíli
nenhuma dor, apenas o movimento das mãos
a afastar o fumo
e noite após noite: uma fissura

Versão: at (baseada no original e na versão em castelhano de Emílio Coco)

***

Noites de paz ocidental
Para encontrar a razão de um verbo
porque na verdade ainda não é tempo
e nós não sabemos se  acorrer ou fugir.
Anoitece como se fosse Dezembro
as casas enaltecidas com a mudança
ganham forma na escuridão   
enquanto o assado inflama as paredes.
Estas são as noites de paz ocidental
no seu âmago pairam a angústia das biografias,
a sombra dos retratos, a cartografia dos nomes.
Defendemo-nos do outro lado em silêncio
como o peso do mar sobre a rede
lançada ao largo, com desespero.

versão: at (baseada no original e na versão em inglês de Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti)

VI

This language has no innocence
– listen to how speeches break up
as if also here there were a war
a different war but war
all the same – in a time of drought.

And so I write with reluctance
with a few dry stumps of phrases
boxed into humdrum language
which I arrange so as to call out
down there as far as the dark
that sounds the bells

***

There’s a window in the night
with two dark shapes asleep
dun as birds
whose bodies draw back against the sky.

I write with patience
to the eternity I don’t believe in.
Slowness comes to me from silence
and from a freedom – invisible –
which the mainland’s unaware of
– the island of a thought which spurs me
to rein in time
to give it space
inventing the desert for that language.

The word splits like wood
like a piece of wood cracked on one side
part the effect of fire
part of neglect.

Tradução: Jamie McKendrick

de Notti di pace occidentale, Donzelli, Rome, 1999

Una terra

Tonda, gelida dei suoi oceani, trasparente
come una cellula sotto il microscopio
eppure orizzontale
con monti posati saldamente sopra i prati
con la lingua dei fiumi e il mare steso.

Solo a volte sospetto la vertigine:
ruotiamo più veloci. Dormendo grido “cado”
e là sento lo spazio, il nero, le stelle sulla nuca
lo spavento che vomita se stesso in mille sfere.

“Oh quello è l’inferno”, dici e ti addormenti.
Medito sull’inferno allora. Basta che muova il peso della tenda
facendo scorrere gli anelli lungo il vetro. Vedo con esattezza:
un filo di formiche, la loro marcia, la grande notte stellata.

Provo a prendere l’inferno per un lembo (un po’ di nero, il vuoto, lo spavento)
per farlo vorticare nel cortile
perché l’abete ruoti fino al cielo
per essere l’insetto che sono sempre stata:
che nasce e si dimentica nell’aria.

Una sera d’inverno in città

Ora ha smesso di piovere. Dalla finestra il mondo è a gocce:
un viso senza naso, occhi, labbra. Solo queste minute lacrime
sugli alberi e le case. Una in particolare si rischiara
dove qualcuno piange sulla sua poltrona
composto, fermo solo incerto se la casa somigli
a quelle che abitò in passato e che confonde.

Non è di nostalgia che piange, ma per il peso intero
della pioggia, come se lui fosse il tetto
che sopporta e si scrosta.
Come se l’intero palazzo, gonfio di acqua e pietra
rivelasse un’offesa.

Una creatura può crucciarsi per questo, passare sveglia la notte
o replicare nel sogno la desolazione. Essere in un burrone.
Stare lì tra la terra, nella pioggia che viene.

Musica

Non sono nobili le cose che nomino in poesia:
stanno sotto il palato, attente, coscienti solo del caldo
ignare della lingua.
Se ascoltano, sentono il moto, l’onda di un’eco
che porta rosse lettere, destini, e un turbine di voci
smarrite – come sempre – in ciò che è cupo e cavo.
Dunque di nuovo dico: alberi – anzi – platani
attirati dall’acqua e sostenuti ai bordi dalle pietre.
Questo sì è difficile: cantarne piano il miracolo
quel peso nella luce, quell’ombra
che s’incrocia col tempo e divampa sull’odore del prato.

Tutto è corpo che l’anima raggiunge con ritardo
ma sfolgora l’autunno in un cantuccio
e la parola si forma
con il ritmo che deve: a grumi, a vuoti
a scatti, dentro i secoli.
E non è la musica che dici, ma un rombo di stoviglie,
di grandine che batte contro i muri.

TERRA

Redonda, congelada nos seus oceanos, transparente
como uma célula observada ao microscópio
ou horizontal
com montanhas firmemente erguidas sobre as planícies
com a língua dos rios e o mar derramado.

De vez em quando pressinto a vertigem:
giramos mais depressa. Quase a dormir, grito “vou cair”
e então sinto o espaço, a escuridão, as estrelas sob a nuca,
o medo que se vomita em mil esferas.

“Oh, isto é o inferno”, digo e adormeço.
Medito agora sobre o inferno. Basta mover o peso das cortinas
deslizando os anéis ao longo do vidro. Vejo com precisão:
um carreiro de formigas, a sua marcha, a grande noite estrelada.

Tento agarrar o inferno por uma ponta
(uma tira negra, o vazio, o pavor)
para o fazer rodopiar no pátio
como o abeto se enrola até ao cimo
até me transformar no insecto que sempre fui:
aquele que nasce e se esquece de si mesmo no ar.

versão: at (baseada no original e na versão em inglês de Jamie McKendrick)

Uma noite d'inverno na cidade

Parou agora de chover. Da janela vê-se o mundo gota a gota:
Um rosto sem nariz, olhos, lábios. Apenas lágrimas minúsculas
sobre as árvores e as casas. Uma delas desliza até
alguém que chora sentado na sua poltrona
digno, firme mas inquieto porque a casa evoca
aqueles que a habitaram no passado e que o confundem.

Não é por nostalgia que chora, mas pelo peso inteiro
da chuva, como se ele mesmo fosse o telhado
que suporta e se desgasta.
Como se a casa inteira, a transbordar de água e pedras,
revelasse um equívoco.

Qualquer um se pode preocupar com isto, passar a noite em claro
ou reproduzir a desolação num sonho. Existir numa cova.
Permanecer na terra, sob a chuva que volta.

versão: at (baseada no original e na versão em inglês de Gabriele Poole )

Música

Não são nobres as coisas que nomeio na poesia:
permanecem sob o palato, atentas, apenas conscientes
do calor ignorante da língua.
Se escutassem, ouviriam o movimento, a onda de um eco
que repete letras vermelhas, destinos, e um turbilhão de vozes
perdidas – como sempre – em tudo o que é escuro e vazio.
Por isso digo outra vez: árvores - de facto - plátanos
atraídos para a água e suportados por pedras à volta.
É isto que é difícil: Cantar suavemente o milagre
do peso na luz, da sombra
que se cruza com o tempo e se espalha sobre o odor dos prados.

Tudo é corpo onde a alma chega atrasada
mas o outono resplandece a um canto
e as palavras juntam-se
com o ritmo prescrito: amontoadas, entrecortadas,
iniciadas, ao longo dos séculos.
E não é de música que falam, mas do estrondo dum relâmpago,
do granizo que golpeia contra as paredes

versão: at (baseada no original e na versão em inglês de Gabriele Poole)

de Il catalogo della gioia, Donzelli, Roma,2003